Simboli, allusioni e figure di viandanti per terre desolate modulano la pittura di Giorgio Casari ed egli diluisce le sue tinte a larghe campiture ricavandone un intenso effetto emotivo pari a quello di una eco soffiata nello spazio con monocorde e nostalgica risonanza dei venti del deserto. Il pittore vede continue trasparenze e riflette sé stesso e il mondo per flebili variazioni componendo il suo spoglio scenario autobiografico in un gran teatro di corrispondenze e allegorie che anima e suggerisce parabole, traccia sintetiche illuminazioni, stagioni all'inferno, apparizioru rammemoranti ed improvvise quanto irredimibili malinconie esistenziali.

Se ne ricava una immagine dilatata, perché priva di prospettiva, e dotata di una spazialità senza fondo come nelle antiche pitture parietali dove si perde la misura della gravita con gli uomini e le cose che appaiono identici al loro simulacro.

Simili a gusci vuoti galleggianti nell'etere, definiti appena dai contorni tutto rilievo, le figure sono pure tracce, o segnaletica scritta sulla sabbia che rileva il paesaggio di ben altre verità indicibili e tantomeno rappresentabili.

Il tempo e loro sono indefiniti quanto lo spazio circostante: è l'esperienza del dormiveglia tanto congeniale al poeta ("non sei né giovane né vecchio", T. S. Eliot) che nella esperienza vissuta cercava sempre il correlativo oggettivo dei più profondi stati d'animo e misteri dell'esistere. Così Giorgio Casari dipinge un mondo di ombre e di presagi e ce li rappresenta con la patina delicata di una superficie sfuggente, appena sfiorata dal colore, che suggerisce emozioni sottovoce e cattura lo sguardo dopo una meditata contemplazione.

I personaggi e gli oggetti che impegnano lo spazio fanno l'effetto di immagini evocate. Richiamati ed apparsi dal desiderio che interroga una lampada magica essi occupano d'improvviso la scena e si ritagliano uno spazio in mezzo al fluire del colore come fossero formelle da imprimere sulla pasta frolla.

E si manifestano di conseguenza come il negativo di una forma, la fotografia di una lastra impressionata: ciò che resta sulla lastra disegnata o dipinta non è che la impronta di una realtà sfuggente, energia dileguante, misura e ordine invisibile dell'essere. Fantasmi, idee, sogni e moralità leggendarie: ecco il motivo ispiratore del racconto per figure che Casari mette in scena sulla tela e i quadri in tal modo concepiti risultano bene appaiati con la stesura delle immagini poiché l'emozione immediata del colore si armorizza e si intona con la foresta dei simboli da interpretare.

E si trovano in questa teoria di immagini alcuni correlativi oggettivi che alludono e parlano del senso del tempo, delle occasioni umane, dello scacco e della salvezza personale. Come la efficace metafora della grande arca (cifra dei suoi primi quaranta aruri) che appare arenata su una terra rossastra senza quasi confini all'orizzonte e con l'emergere di un po' di vita nel disegno solitario di un piccolo fiore enucleato dallo stagno dei tempi, L'impronta disegnata e definita sullo spazio monocromo, oppure a non più di due o tre tinte, corrispondono al bisogno di esprimere una passione quasi assoluta per i riflessi della luce e della energia che la possiede. Fondi rossi, azzurri o arancione, creano in genere le pareti divisorie del cielo, del mare e della terra. Ma si capisce subito che lo sguardo del pittore è rivolto principalmente a suggerire l'impercettibile istante in cui la luce, depositandosi sulle cose, subito le trasvaluta senza immedesimarsi in esse.

La luce mangia la vita e pure la determina e la ricomprende. Ma la visione compiuta determina un efi[etto distanziato rispetto alla sorgente luminosa, come se l'occhio fosse schermato da un filtro opacizzante che rende l'atmosfera irreale, fiabesca, vagamente ingiallita dal ricordo e dalla lontananza del tempo. In questo misterioso andirivieni della energia illuminante Casari immagina la parabola visiva di un cavaliere-viandante che attraversa il paesaggio del mondo imbattendosi di volta in volta in proiezioni del subcosciente, in miracoli, awertimenti simbolici, o prove morali della esistenza.

Impegnato, come Eracle al bivio tra il vizio e la virtù, l'artista viandante si riconosce e rappresenta nella figura del mendicante, del nomade, del pastore: e ci ricorda talvolta perfino le peripezie dei cavalieri medioevali perduti "dans la morteil aventure" alla ricerca di pietre filosofali o mistiche coppe della salvezza eterna. È un romantico girovagare da perdigiorno, nelle quattro mura della sua coscienza, da cui vediamo emergere maschere d'Africa feticci, crani di bue, statuine del presepe, babbucce atabe, angeli custodi, figure di draghi alati, mostri a te teste, burattini e silhouettes di uomini ciclisti sottratti alla patina di vecchi dagherrotipi.

La tessitura della rappresentazione tiene fermo al principio narrativo esistenziale e si lascia al tempo stesso sedurre volentieri dal libero svolgimento della forma-colore. Sgocciolature di vernice, con riflessi fondo oro, macchie di grigio più intenso su base di cielo grigio, o pure campiture rosse attraversate da strisce gialle oizzontali, azzurri verdini che patinano l'atmosfera: sono alcune delle soluzioni visive di cui è imbevuta la tela dipinta da Casari, l'autorevole e ben calibrato fondale che dispone la sua vena narrativa.

E c'è in questo procedere una consapevolezza di linguaggio che tiene assieme la mistica effusione del colore astratto con la spaesante inquadratura di una veduta metafisica. Il pittore punta all'elementare, al racconto ridotto all'essenziale. Il suo spazio-colore diventa un telone di scena su cui inscrivere il marchio o il segno simbolico della esperienza esistenziale. Può essere un quadro evangelico come "La buona notizia", con la linea d'orizzonte dorata, la macchia d'oro sul cielo verde e il piano della terra violetto, a popolarsi di figure: un poveruomo giudeo, una scala celeste elevata nell'aria un asinello e un serpente livido, per riassumere i simboli dell'avvento di Gesù.

Può essere ancora "L'angelo della speranza", altro scenario irreale di rossi modulati tra la terra e il cielo con l'impronta dell'angelo dotato di un'ombra più consistente della figura, macchia verde che aggetta prospetticamente rispetto alla base su cui è proiettata (così si misura la inconsistenza della materia formata rispetto al potere della luce formante!). Può essere alla fine un altro quadro come "Le ragioni del coraggio" dove la linea azzurro-verdina del mare separa il cielo giallastro della terra viola e la statuetta-figurina del viandante si dirige verso una barca sul bagnasciuga, mentre dai flutti emerge il profilo del drago a tre teste, e alle sue spalle sulla spiaggia si dispone uno smisurato grappolo d'uva per accentuare l'irrealta prospettica della scena.

Casari non dipinge le sue visioni per assecondare il vezzo dello automatismo psichico e onirico, ma per enunciare certezze identitarie, esistenziali: al punto che il nucleo sentimentale ispiratore dei suoi pensieri-visivi è la volontà di mettere il cuore a nudo, enunciando parabole figurative come un moderno "minnesànger". Una simile poetica della malinconia vela una programmatica e toccante sincerità religiosa col dono stilistico di una maniera di vedere ben concepita per gli effetti cangianti della pittura e per il risultato evocante immagini silenziose, di infinito raccoglimento.

Non a caso lo spazio dipinto è dilatato e le figure sono piccine, sembrano per contrasto effrazioni dell'infinito, granuli di sabbia nel deserto, segni di identita e al tempo stesso misura della vanità urnana, delle sue ansie, delle sue tempeste limitate e limitanti. Questa lirica "silenziosa" della pittura toglie tuttavia ogni riferimento a rigide severita profetiche della parola scritta: l'immagine parla alla mente e al cuore tramite l'occhio, con effetti incantati di una melodia quasi crepuscolare, stavagante e meditabonda nelle sue allucinazioni. Casari insegue dipingendo il progressivo estendersi e affermarsi della luce alf interno del quadro e sulla sua superficie.

E ritorna così il motivo della energia irradiante filtrata dallo sguardo che modella la visione mettendo in accurato equilibrio tanto gli effetti di meraviglia quanto il significato della parabola illustrata. La pedagogia espressiva impegna di conseguenza pima di tutto l'autore che, dipingendo, vive una particolare esperienza di autotrasformazione. Ogni quadro di Casari è come la nota di un diario in pubblico e si distingue per lampante sincerità espressiva confortata da uno stile coerente, ottenuto con rigore, che tanto più sorprende e persuade per la sua scioltezza esecutiva. "Tendono alla chiarità le cose oscure", scrive il poeta, e i corpi si esauriscono in un fluire di tinte: a questo scopo tende la fluida immagine in cui Giorgio Casari risolve il suo bisogno di espressione ricavandone la preziosa acquisizione di uno stile.

Questo sito utilizza i cookies per darti la miglior esperienza possibile. Continuando la navigazione acconsenti all'uso dei cookie.